CHIESA VIVA
   

 

 

 
 
 

 

 

 

Conoscere la Massoneria

 

Chiesa Viva n°392

Clotilde Bersone fece il suo ingresso nella Grande Loggia degli Illuminati di Parigi, nel luglio del 1975. Ad accoglierla fu il Grand’Oriente della Loggia, il famoso Giacomo Abramo Garfield che doveva, sei anni più tardi, nel 1881, diventare Presidente degli Stati Uniti.

Quest’uomo era oriundo dell’Ohio e aveva fatto tutti i mestieri per sfuggire alla mediocrità dei suoi natali. Giornalaio, carpentiere, battelliere, istitutore, rettore del Collegio Hiram, avvocato delle Assise di Columbus, eletto senatore dell’Ohio nel 1859, soldato, ufficiale, maggiore, generale durante la Guerra di Secessione; dagli uni vantato come il liberatore del Kentucky e il vincitore di Chieamanga, da altri sospetto di sfrontate angherie e agente misterioso delle sètte.

Era rientrato allora nella Politica e divideva il suo tempo tra Washington e l’Europa, dove ufficialmente, era venuto solo una volta nel 1868, ma in realtà, in incognito, fungeva da Grand’Oriente della Grande Loggia degli Illuminati della Francia, sotto la scusa di pretesi viaggi per inchieste, della durata or di 3 or di 6 mesi, nei deserti della Luisiana o sulle montagne della costa del Pacifico.

Il “battesimo”, per l’ingresso in questa Grande Loggia, era l’assassinio! E Clotilde, nella sua iniziazione, “con tutte le forze, ebbra e frenetica sferrò il colpo di pugnale nel punto segnato sul ‘mannequin’, ben sapendo che dietro vi era un uomo. Un getto di sangue caldo, infatti, subito le inondò le spalle”.

Questa Grande Loggia, che fungeva da centro direttivo per altre sei Logge degli Illuminati sparse nel mondo, aveva come scopo principale quello di far mettere a morte ogni persona che fosse stata colpita dal suo anatema.

Nella Grande Loggia, vigeva la stessa spietata legge della “Giovine Italia” e della “Giovine Europa” contro chi si rifiutava di eseguire gli ordini superiori. Costoro dovevano essere giustiziati senza pietà e in modo esemplare.

Clotilde racconta il caso di un certo Zémad, Cavaliere Kadosch che aveva ricevuto l’ordine di occupare la carica di Grande Inquisitore a Parigi, «ma costui rifiutò la carica offerta. Non c’è delitto più grave nella Massoneria! Al ribelle s’intimò di accettare la carica, ma senza risultato. Allora, fu rinchiuso in una prigione e lasciato per tre giorni senza cibo; poi, fu alimentato un poco perché potesse arrivare fino al Venerdì Santo. Il giovedì, il grande Alchimista gli somministrò un filtro soporifero, dopo averlo ignominiosamente degradato e schiaffeggiato in pieno Capitolo. Poi, lo si rinchiuse nel “mannequin” papale».

Il Venerdì Santo fu il giorno della sua punizione.

Clotilde racconta: «Un Crocifisso d’ebano era posto in mezzo al Tavolino emiciclare. Al centro della sala, in fondo, vi era un “mannequin” con la tiara in testa e la veste bianca; a lato, un tripode, sul quale vi era un libro sormontato da undici candele. Altri due tripodi erano sormontati, ciascuno da altre undici candele e tutti e tre, disposti su un triangolo, rappresentavano il “Delta sacro”, mentre le 33 candele figuravano i trentatrè gradi della misteriosa scala che mena all’Alta Massoneria.

Il secondo Grand’Oriente, che presideva al posto di Garfield, ci fece disporre in semicerchio attorno al Tavolino; poi, andò verso il libro, vi lesse varie lezioni mischiate con insulti alla Chiesa e al Papato. (…) e, per terminare, dimostrò che l’uomo, essendo nato libero, non doveva piegarsi a nessuna schiavitù, di fronte allo Stato o alla Chiesa.

In quel momento, un canto orribile si levò e un’atmosfera di demenza agitò la sala. Il Vice Grand’Oriente afferrò un’accetta; un clamore formidabile risuonò, mentre egli, con un colpo vigoroso si scaraventò al collo del “mannequin” dove pareva essere rinchiuso un cadavere.

A quel colpo, la vittima gettò un grido stridente e i suoi occhi uscirono dalle orbite. Un secondo colpo fece ruzzolare la testa per terra. Ciascuno degli Affiliati, uno dopo l’altro andò a temprare la mano nel sangue del decapitato; ma io indietreggiavo spaventata davanti a questo nuovo delitto. Un Affiliato più umano toccò la mia mano, con le sue dita sanguinolenti, sussurrandomi all’orecchio: “Coraggio, sorella mia, se la tua mano non è macchiata come le nostre, la si potrebbe reputare tiepida o complice: ora, il nemico della Loggia deve essere il nemico di noi tutti!”.

Io udii appena, ghiacciata dall’orrore. La vittima era veramente viva? O io ero stata lo zimbello di un’odiosa fantasmagoria? Ma la cerimonia seguitava il suo corso e mi trascinava, mio malgrado.

Avevano posto la testa su un piatto d’argento; noi, processionalmente, passammo alla Camera rossa, destinata alle prove del sangue. Quella testa fu deposta sul “Delta sacro” che è un grande “triangolo rovesciato”, fatto con un trasparente illuminato.

A lato, due piccole statue in alabastro rappresentavano due druidi gettanti fiori in una coppa, dove bruciavano erbe aromatiche. Un lampadario, di mezzo metro di diametro, pendeva dal soffitto con sette fiaccole, che non si devono lasciar spegnere mai: perché il giorno che cessassero di bruciare, quei nemici della superstizione, paventano tutte le disgrazie»1.

1 Cfr. Clotilde Bersone, “L’Eletta del Dragone”, Editrice Italica, Pescara 1981. pp. 103-108.

 
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