CHIESA VIVA
   

 

 

 
 
 

 

 

 

Conoscere la Massoneria

 

Chiesa Viva n°374

 

Nel 1857, vi fu una patetica commedia giocata dalla politica piemontese. Oggi, ormai è più che provato che Cavour e Rattazzi erano d’accordo coi mazziniani e coi garibaldini per fare l’unità d’Italia a profitto della Casa di Savoia, ossia spodestare i sovrani dei Ducati d Toscana, Parma, Modena e degli Stati Pontifici e del Regno delle Due Sicilie, e riprendere all’Austria i paesi della Lombardia e del Veneto. Ma, davanti agli occhi dei monarchi europei che non conoscevano questo segreto, il Piemonte voleva atteggiarsiad estraneo alla congiura e fingere di farsi forzare la mano.

Ora, il Comitato Internazionale di Londra di Mazzini decretò, per l’anno 1857, una sollevazione in Toscana e nell’Italia meridionale e, perché il Piemonte non fosse sospettato di complicità, si decretò di promuovere una sedizione anche in quel regno. E questa fu la commedia.

Mazzini stesso andò segretamente a Genova, mentre Lemmi si recava in Toscana. La triplice insurrezione dei mazziniani e garibaldini scoppiò: il 29 giugno, a Genova; il 30 giugno, a Livorno; il 1° luglio, a Napoli. La prova che la sommossa di Genova non fu che una farsa è che Mazzini non fu neppure disturbato dalla polizia piemontese, e poté tornare tranquillamente al suo posto di cospiratore internazionale a Londra.

Nello stesso anno, 1857, Mazzini aveva fomentato una congiura contro Napoleone III, e non era la prima. Mazzini riteneva che l’imperatore francese non si impegnava sufficientemente per l’unità d’Italia, ed era risoluto a costringervelo, facendo uso del terrore. A Mazzini, Kossuth e Ledru-Rollin si erano aggiunti, nel Comitato di Londra, anche Herzen, Bakhunin, Turr e Klapka.

All’inizio del 1857, in un incontro a Londra, Mazzini e Ledru-Rollin avevano scelto Paolo Tibaldi, Giuseppe Bartolotti e Paolo Grilli per trucidare Napoleone III. Essi ricevettero da Massarenti, altro affiliato di Mazzini, 50 napoleoni d’oro e si recarono a Parigi per commettere il delitto. Mazzini, prima che partissero, aveva detto loro: «Studierete le abitudini dell’imperatore e farete il colpo quando si presenterà l’occasione favorevole».

Fallito l’attentato, il Procuratore imperiale, nell’udienza della Corte d’Assise di Parigi del 7 agosto 1857, dopo aver condannato Grilli alla deportazione, e Tibaldi e Bartoletti alla detenzione, disse che Mazzini e Ledru-Rollin erano i capi di tutte le congiure tentate per l’assassinio dell’imperatore.

Il 14 gennaio 1858, a Parigi, alle porte dell’opera, ci fu un nuovo attentato alla vita di Napoleone III. Tre bombe fulminanti uccisero 8 persone e ne ferirono altre 156. Alcuni dei colpevoli furono arrestati, ma molti si dispersero tra la folla. Tra questi non è cosa temeraria annoverare Lemmi, poiché appunto, verso quel periodo, egli si recò a Parigi, col nome di “James Mac Gregor”, sotto pretesto di far visita a Giuseppe Mazzoni, suo compatriota toscano, allora professore di lingue nella capitale francese.

Orsini, Pieri, Rudio, autori principali del delitto, vennero condannati a morte; i primi due furono giustiziati, Rudio fu condannato ai lavori forzati a vita, pena che si inflisse anche a Gomez domestico dell’Orsini. Tutti e quattro erano frammassoni e mazziniani.

Quello stesso mese, in Toscana, si giudicarono gli insorti di Livorno che erano stati presi con le armi in mano il 30 giugno del 1957. Diciotto di questi mazziniani furono condannati, tra i quali 8 a morte.

Il Comitato mazziniano di Londra cercò di rifarsi da questi smacchi, cominciando una propaganda presso gli studenti universitari. Il risultato fu che l’Università di Pavia si dovette chiudere. A Milano gli studenti gridavano: «Viva l’Italia! Viva Vittorio Emanuele!». Questo movimento era il preludio della guerra che presto sarebbe scoppiata.

Si deve però ricordare che Napoleone III era rimasto molto impressionato dall’attentato di Orsini; l’uomo che aveva tentato di assassinarlo non era a lui sconosciuto: essi erano stati membri della stessa “Vendita di Cesena”, poiché l’imperatore, nella sua giovinezza, si era affiliato ai Carbonari.

Dalle rivelazioni, pubblicate nel 1874 dal “Giornale di Firenze”, risulta che Napoleone III andò a visitare Orsini in prigione e che, questi, gli dichiarò che altre bombe gli erano riserbate se non manteneva la promessa di contribuire all’unità d’Italia. Napoleone piegò il capo e non seppe più resistere, ed il famoso testamento di Felice Orsini fu pubblicato nel “Monitore” dell’Impero.

Ciò permise all’onorevole deputato francese, Keller, di dire al Corpo Legislativo, nella seduta del 31 marzo 1861, che «la guerra d’Italia era stata l’esecuzione del testamento di Orsini».

1 Cfr. Domenico Margiotta, “Ricordi di un 33”, Delhomme e Briguet, Editori, Parigi 1895. p 29.

 
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