CHIESA VIVA
   

 

 

 
 
 

 

 

 

Conoscere la Massoneria

 

 

Chiesa Viva n°350

 

Come tutti i libri che contengono verità scottanti, questi “Protocolli dei Savi di Sion” continuano, ancora oggi, a suscitare polemiche e reazioni, anche incontrollabili. Ma non tutte inutili. La storia è storia, né vale coprirla o deformarla!

La prima edizione, quasi clandestina, dei “Protocolli dei Savi di Sion” fu conosciuta nel 1905, a cura dei prof. Sergio NyIus. Era in lingua russa. Sul frontespizio portava la scritta: “Il grande nel piccolo, e l’Anticristo come possibilità immediata di governo”. Ma era già una seconda edizione, corretta e accresciuta da Tsarkoie-Sélo.

L’opera comprendeva anche molte appendici, tra cui la XII dal titolo “I Protocolli dei Savi di Sion”, 1902-1903, r.r. la si può ancora vedere nella Biblioteca dei “British Museum” di Londra, con registrazione del 10 agosto 1906, sotto il N. 3926/D/17.

Comunque, fino alla “Grande Guerra” del 1915-18, i “Protocolli” furono quasi ignorati da tutti. Fu solo alla fine del 1919 che essi attirarono l’attenzione, quando cioè apparvero in brossura, parte in tedesco e parte in inglese, riportando - come spiegarono i traduttori e gli editori - i processi verbali delle riunioni segrete tenute al Congresso sionista, svoltosi a Bále nel 1897, sotto la presidenza di Teodoro Herzl, uno scrivano ebreo ungherese (1860-1904), promotore del Sionismo.

Poi, quando nel 1920, i “Protocolli” furono tradotti e diffusi in America del Nord e correlativamente in Inghilterra, cominciarono a dar fastidio. La prima edizione inglese, infatti, apparsa a Londra col titolo: “The Jewish Peril, Protocol of the Learned Elders of Zion” (= Il pericolo giudeo: I Protocolli dei Savi di Sion), attirò subito l’attenzione del “Times”, che prese posizione sul suo numero dell’8 maggio 1920. Tra l’altro, scriveva: «Il “Times” non ha ancora analizzato questo curioso piccolo libro. Ma la sua diffusione aumenta sempre più; la sua lettura è fatta per inquietare coloro che sanno riflettere. Sottolineiamo che certi tratti essenziali del preteso programma giudeo offre una analogia sconcertante con gli avvenimenti attuali (...). Che cosa sono, in realtà, questi Protocolli? Sono essi autentici? E se sì, questi piani, quale malevole Assembleahanno mai forgiato? Si tratta di un falso? Se sì, come spiegare questa nota profetica e lugubre, queste predizioni che sono già in parte realizzate e altre in corso di realizzazione?..E queste questioni non possono essere eluse con una semplice alzata di spalle... Ci vuole un’inchiesta imparziale... Se si giudica sul testo, si deve dire che i Protocolli sono stati scritti da Giudei e per Giudei».

Una tale “Inchiesta imparziale” fu fatta dagli stessi Giudei. Nel 1920, infatti, apparvero tre articoli di giornale che volevano dare l’impressione che gli Autori avevano lavorato indipendentemente gli uni dagli altri, e furono dati alle stampe in tre Paesi diversi.

Il 25 febbraio 1921, il “The American Hebrew” (= L’Ebreo Americano) di New York, pubblicava un’intervista che l’ex-principessa Catherine Radziwill (nata nel 1858) aveva accordato all’amministratore di questo giornale e al Rabbino di New York, lsaac Landmann. In questa intervista, l’ex-principessa dichiarò che i Protocolli erano stati redatti dopo la guerra russo-giapponese (1904-1905) e dopo l’avvio della prima rivoluzione russa del 1905, dal Consigliere di Stato Pierre J. Ratchkovsky, capo della polizia segreta russa a Parigi, in collaborazione con un suo agente, Mathieu Golovinsky. Quest’ultimo aveva mostrato il manoscritto, che stava per terminare, nei giorni del suo passaggio a Parigi, nell’inverno 1905. I centri conservatori russi contavano, con questo scritto, di scuotere lo Zar Nicola lI contro gli ebrei.

Quale fede dare a questo manoscritto? L’ex-principessa Radziwill, per provare che ella stessa aveva visto il manoscritto, precisò, nell’intervista, che sulla prima pagina c’era una macchia di inchiostro azzurro.

Il secondo articolo è del conte Armand du Chayla, francese. Lo fece subito dopo una seconda edizione che apparve il 12 e il 13 maggio 1921 su un giornale russo, “Posledain Nevosti”, con un sotto-titolo in francese: “Dernières Nouvelles”, in cui l’Autore racconta che Nylus, che lui aveva visto in Russia nel 1905, gli aveva fatto vedere il manoscritto, asserendo d’averlo avuto dalla sua compagna Natali Afamassievna Komarovsky alla quale Ratchovsky l’aveva dato, a Parigi. E per rendere più credibile questo suo racconto, du Chayla scrisse che sul manoscritto c’era proprio quella macchia d’inchiostro blu. Oggi, questo non lo si ritiene vero. Un’inesattezza, questa, che oggi non è accettata, ma che l’Autore dell’articolo metteva in consonanza con la dichiarazione della ex-principessa Radziwill.

Il terzo articolo è di un giornalista inglese, Philip Grawes. Lo scrisse sul “Times”, sui numeri dei 16, 17 e 18 agosto, 1921. In questo articolo, l’Autore rivela che, durante un suo soggiorno a Costantinopoli, aveva acquistato da un rifugiato russo il libro del rivoluzionario Maurice Joly, apparso nel 1864, sotto il titolo “Dialogue aux Enfers entre Machiavel et Montesquieu”; un libro, che da un esame approfondito, gli aveva dimostrato che l’Autore dei “Protocolli” aveva largamente attinto da quest’opera.

Ora: questi tre articoli abbondano di false dichiarazioni!1

(continua)

1 Il testo è tratto da un articolo pubblicato su “Chiesa viva”, n° 179.

 

 

 

 
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